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La demenza fronto-temporale: una temibile malattia che può colpire anche i soggetti più giovani

La demenza fronto-temporale, talora indicata più brevemente come demenza frontale, è una condizione morbosa che racchiude, in realtà, un gruppo relativamente eterogeneo di problematiche. Queste hanno in comune la perdita (morte) dei neuroni, ovvero delle cellule nervose, a livello dei lobi frontali, situati al di sotto della nostra fronte, e/o dei lobi temporali.

Dato che i neuroni rappresentano l’unità anatomo funzionale del cervello, una loro distruzione si riflette necessariamente su una perdita dell’integrità morfologica e delle funzioni di queste aree, con conseguenti alterazioni nella produzione o comprensione del linguaggio.

La morte neuronale, oggetto di studi, avviene secondo due principali meccanismi: il primo è rappresentato da un abnorme accumulo di una proteina, detta Tau, mentre il secondo è da ricondurre ad alterazioni della proteina TDP43, che in seguito a iperfosforilazione si accumula all’interno dei neuroni.

Fino a non molti anni fa la demenza fronto-temporale veniva chiamata anche “Demenza di Pick”, in onore del medico che per primo, alla fine dell’800, ha descritto un paziente con disturbi del linguaggio.
Oggi si preferisce utilizzare la dizione moderna anche in considerazione dell’eterogeneità della clinica della demenza fronto temporale, che può essere classificata in vere e proprie varianti.

La prima è la cosiddetta variante comportamentale, caratterizzata da alterazioni della personalità in persone che, tutto sommato, sono relativamente giovani (fascia d’età media compresa tra i 50 e i 60 anni), sebbene non sia raro il coinvolgimento anche in età più avanzate. La degenerazione, in questo caso, si manifesta come un’alterazione del comportamento di un individuo, del suo giudizio, dell’empatia, della capacità di pianificazione. Rappresenta una variante drammatica visti gli importanti risvolti lavorativi, sociali e affettivi.

Un’altra variante è rappresentata dalla afasia progressiva primaria, nella quale la degenerazione si riflette prevalentemente attraverso una compromissione del linguaggio, della produzione e della percezione della parola e della scrittura. L’esordio avviene in età lievemente più avanzata, con una media attorno ai 65 anni circa. Sono state descritte due sottoforme di afasia progressiva primaria: la variante semantica, dove la fluenza è relativamente conservata, ma viene meno la capacità di comprendere o produrre parole adeguate, e la forma non fluente, caratterizzata da una globale compromissione dell’eloquio.

Ad oggi è stata documentata, inoltre, una associazione con disturbi muscolari o del movimento, cosa che contribuisce a configurare ulteriori varianti della malattia.
La SLA ad esempio (sclerosi laterale amiotrofica), può presentarsi associata ad una compromissione cognitiva tipica della demenza fronto-temporale. E’ possibile che le due forme cliniche siano espressione di una stessa malattia.

Nella degenerazione cortico-basale, si ha l’interessamento simultaneo della corteccia cerebrale e dei nuclei della base, cosa che determina la comparsa di una sintomatologia simile alla Malattia di Parkinson (ad esempio il rallentamento motorio). Un sintomo tipico di questa condizione è la sindrome dell’arto alieno, per la quale il soggetto riconosce come estraneo, non proprio, uno degli arti.

Nella paralisi sopranucleare progressiva, infine, si manifestano difficoltà nella deambulazione, rigidità muscolare, cadute all’indietro, labilità emotiva. Come dice il nome stesso, sono presenti disturbi dei movimenti oculari, ovvero una paralisi dello sguardo verso il basso. In questo caso, le cadute frequenti sono causate da una degenerazione dei neuroni localizzati a livello del tronco-encefalo.

Ad oggi, purtroppo, non esiste una terapia specifica per nessuna delle variante della demenza fronto-temporale. Possiamo comunque intervenire su alcuni sintomi, come l’agitazione o la depressione, ma poco è possibile fare nei confronti dei processi patologici di fondo.