Quando parliamo di tecnologia, difficilmente si affrontano temi legati alla sicurezza del Digital ed ancora meno agli aspetti sociali che il Web e l’informatica portano con sé. È il caso del cyberbullismo, un fenomeno che anche a causa della pandemia da COVID-19 è incrementato come mai prima d’ora. Solo nel periodo del lockdown del 2020 si sono verificati 121 casi di cyberbullismo verso adolescenti e 89 che hanno visto come vittime i docenti. Ma non solo, durante il periodo di lockdown vi sono stati anche 4 casi di “reveng porn”. E questi, sono solamente i casi denunciati, che si presume essere solo una minima parte (fonte: Avvenire)
Nel 2019 sono stati 460 i casi di bullismo trattati dalla Polizia Postale che hanno visto vittima un minorenne – 52 avevano meno di 9 anni -, il 18% in più rispetto al 2018, quando i casi trattati sono stati 389.
Come genitori, si è in prima linea per difendere i propri figli da atti di cyberbullismo, ma qual è la strada migliore da percorrere? Esistono centinaia di software, che tra poco vedremo, in grado di monitorare il comportamento dei minorenni online, ma siamo certi che questa sia la scelta più adatta per creare la consapevolezza del fenomeno ai figli? Per comprendere meglio il tema del Cyberbullismo e di come ci si possa difendere, abbiamo parlato con Luca Mercatanti, consulente di Comunicazione Digitale ed esperto di Sicurezza Informatica.
Cos’è il Cyberbullismo?
Il Cyberbullismo, ci racconta Luca Mercatanti, è definito dalla Legge 71/2017 come: “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.
Una definizione assai ampia che non si limita alle ingiustizie a danno del minore, ma che si estendono anche ai familiari, nel caso in cui le azioni impresse dal bullo abbiamo comunque come scopo predominante l’isolamento del minore o la sua messa in ridicolo.
Rispetto al bullismo “analogico”, la differenza più grande risiede nel (presunto) anonimato che il bullo possiede. Se nel mondo fisico lo scontro tra il bullo e la sua vittima è diretto, e quindi anche le possibilità di intervento sono più rapide e concrete, l’online crea una sorta di parete invisibile che separata il fisico dal digitale. Il problema, per il bullo, è che in realtà questo muro non esiste: la vita digitale è vita reale ed il grado di anonimato che il carnefice pensa di avere è assente. Le Forze dell’Ordine sono infatti in grado di risalire alla realtà identità di qualsiasi account fake utilizzato per compiere atti di cyberbullismo, con conseguenze molto gravi per il loro operato.
I problemi per il bullo non sono però soltanto legali: molti studi hanno dimostrato come le attività online che si pensano siano parte di una “seconda vita” rischiano nel tempo di creare disturbi della personalità proprio a causa dell’illusione di avere a disposizione degli avatar usa e getta con i quali è possibile compiere qualsiasi azione sul Web, senza avere delle conseguenze nel mondo reale.
Cyberbullismo: software o educazione?
In Rete sono disponibili centinaia di software in grado di analizzare ciò che i minori fanno con il loro smartphone o computer durante la navigazione online o sulle App più utilizzate, giusto per fare un breve elenco delle più famose:
- Kaitiaki
- Keepers
- Sbullit Action
- Whooming
Tutte queste applicazioni lavorano più o meno allo stesso modo, bloccando l’accesso a determinati siti web oppure mediante l’analisi dei Social Network e servizi di messaggistica (come WhatsApp). Secondo Luca Mercatanti, ma anche secondo il parere di psicologi, pediatri ed esperti del settore, non si tratta però della scelta migliore da attuare in caso di cyberbullismo o di prevenzione al cyberbullismo.
È inutile utilizzare un’app che viola in modo indiscriminato la privacy di un minore, se non viene prima di tutto educato a riconoscere e contrastare in prima persona il fenomeno del cyberbullismo. La verità è che spesso sono gli stessi genitori a non sapere come ci si debba comportare in caso di cyberbullismo, in quanto si tratta di un fenomeno per certi diversi anomalo rispetto a quello del bullismo.
Prevenire il cyberbullismo
Prevenire il cyberbullismo mediante l’uso di app è quindi inutile e, in ogni caso, non è la soluzione al problema. Esperti come Luca Mercatanti, insieme a colleghi ed esperti di materie coinvolte nell’argomento, sono spesso chiamati a tenere incontri all’interno delle scuole direttamente con gli studenti e, sempre più spesso, con i genitori, i quali sono i primi soggetti a dover essere informati.